Il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pirenaica ornata) è una specie endemica dell’Appenino centrale.
Specie in passato a rischio d’estinzione, la sua popolazione si localizzava in pochi esemplari nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, sui monti della Camosciara e della Meta.
Ora grazie a progetti di introduzione, la sua popolazione non è più a rischio e si è espansa nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, nel Parco nazionale dei Monti Sibillini e nel Parco nazionale della Majella.
La sua particolare colorazione, caratterizzata da una macchia chiara sulla gola, accompagnata da una fascia bruna lungo il collo e le corna più lunghe del cugino camoscio alpino e camoscio pirenaico, lo rendono inconfondibile. E’ stato definito il camoscio più bello del mondo.
Spesso nelle mie uscite a camosci sulle Alpi, fantasticavo su questa rara specie “made in Italy” e finalmente ho raggiunto questo piccolo obbiettivo personale.
E’ molto importante per un fotografo porsi dei piccoli obbiettivi, ed è sempre una gioia quando si raggiungono e con ottimi risultati.
Da tempo cercavo su Internet qualche possibile meta nella quale avvistare, quasi a colpo sicuro, i fantomatici camosci appenninici e mi cadde l’occhio su una facile escursione, nei monti Sibillini.
Per raggiungere questa meta appenninica la strada si snoda nei tristemente noti territori terremotati del centro Italia, tra Umbria e Marche.
Piccoli paesini si abbarbicano cocciuti su pendi assolati attorniati dal intrigo di querceti e faggeti, qua e là macchie di pini neri e piccoli stracci di terreno coltivato, testimonianza della tenace forza della gente.
Ogni paese conserva, nelle crepe sui muri, nei calcinacci a terra e negli sguardi delle persone quel maledetto terremoto del 2016. Nonostante tutto e tutti questa gente va avanti, quasi dimenticata e vive e, calcinaccio dopo calcinaccio, si ricompone faticosamente.
L’autunno imperversa nei tenui colori dei faggi e delle querce, l’aria spira dai Sibillini imbiancati
ed in alto, su dolci cime appenniniche i camosci c’aspettavano.
La salita è irta e ad ogni passo il fiatone si fa sentire ma quasi non importa. Vecchi impianti sciistici c’accompagnano testimoni di un passato turistico della zona.
I querceti lasciano il posto ad infiniti spazi aperti e la vista straripa in panorami infiniti, fino a giungere al lontano Mar Adriatico, passando sul Gran Sasso e su tutti i Sibillini.
L’aria si fa pungente ed il silenzio ne fa da padrone. Una veloce occhiata con il binocolo mi rivela la presenza di un branchetto di camosci su un pendio erboso sottostante a rocce calcaree.
Allungo il passo, ansioso di raggiungere il branco, anche se questo non piace molto a chi m’accompagna, in poco tempo siamo sotto di loro e con cautela tiro fuori l’attrezzatura fotografica (Canon 1D Mark IV, munita di Canon 300 mm f 2,8 Lis II e moltiplicatore Canon 2 x III) e tento di avvicinarmi.
Non sembrano curarsi della nostra presenza, anzi un esemplare giovane, si avvicina considerevolmente. Io m’abbasso e cerco di scattare aprendo il diaframma quasi al massimo, giocando con sfuocati in primo piano.
A tratti riguardo le foto sul piccolo schermo della fotocamera e sorrido. Alzo un po’ lo sguardo ed osservo in silenzio la quotidianità del branco.
Il gruppetto di camosci è composto da femmine con piccolo, alcuni individui giovani e da un bel maschio adulto che, eccitato dall’estro amoroso tenta l’approccio con le femmine.
M’appare chiaro come questi camosci sono definiti i più belli del mondo, la loro particolare colorazione, specialmente nei maschi adulti ne è la prova.
L’atmosfera è fantastica, il nevischio sembra illuminare le rocce e un continuo leggero grugnito del maschio di camoscio in estro, assieme al ciarlare di taccole che giocano nel vento sono gli unici rumori.
Sembra di essere lontani da tutto e ne gioisco!
Alzo gli occhi e un’aquila reale appare da dietro a un crinale e veloce passa e se ne va’, dietro ad un nuovo orizzonte.
Sono sul confine tra autunno ed inverno, pochi passi da me non c’è più la neve e i colori autunnali ne fanno da padrone.
Poco più in basso un altro branco di camosci pascola quieto, un altro magnifico maschio è coricato e rumina assopito. Sotto di lui si apre la vallata, rossa, gialla, arancione, caleidoscopica di caldi colori. E’ pronto il mio obbiettivo e scatto una foto dopo l’altra imprimendo i pensieri e il sensore della fotocamera d’autunno appenninico.
E’ giunta l’ora del ritorno, un ultimo saluto al re degli Appennini il camoscio d’Abruzzo e ci riavviamo a valle, inghiottiti nuovamente da boschi e piccoli paesini coraggiosi.
Nel ritorno ci fermiamo a Norcia, un paese particolarmente colpito dal terremoto, facciamo qualche acquisto, un piccolo gesto d’aiuto a questa gente, che tutti dovrebbero fare se hanno l’opportunità di passare.
Torniamo a casa grati e con la speranza nel cuore per questa magnifica terra d’Italia fatta di persone, monti, boschi e camosci.