Vi sono molti tipi di fotografia naturalistica e una tra le più affascinanti è la caccia fotografica allo stambecco.
Ciò che affascina maggiormente nel andare alla ricerca di stambecchi è il contesto ambientale dove si trovano e la difficoltà nel raggiungerli.
Infondo la montagna e le pareti sono casa loro, tu sei solo un curioso e probabilmente buffo ed impacciato visitatore agli occhi degli stambecchi.
Spesso bisogna rinunciare all’impresa e mai tentare, testardamente, di seguirli dove loro con tanta disinvoltura procedono su pareti e scoscesi versanti come se fossero su di un pianoro di poco conto, tu non saresti altrettanto disinvolto e rischieresti troppo.
Oggi il tuo obbiettivo è proprio fotografare il re delle Alpi, lo stambecco.
Sui monti ci si sente piccoli e nel procedere a fatica su erti pendii, appare ancora più chiaro il tuo stato d’impotenza dinnanzi a tale vastità di pareti verticali e foreste abbarbicate con resiliente testardaggine a questo mondo all’apparenza avaro di risorse.
Attorno s’ode il sibilo del vento tra le chiome intricate degl’alberi e i tuoi sci che salgono lentamente, spinti dalla tua fatica e dal pensiero di giungere all’agognata meta.
Le fredde acque del torrente alpino sciabordano di brillanti luci ed il sommesso chiacchiericcio di uno stormo di lucherini t’accompagna.
Il cielo è plumbeo e qualche sparuto fiocco di neve scende, dondolando nell’aria del mattino.
Ti senti come fossi uno di quei fiocchi, piccolo ed effimero in un mondo immenso.
Tutt’attorno leggendarie pareti dolomitiche s’aggrappano alle nubi, incalzando a valle con canaloni e terrazze innevate che ti attirano a se come ammaliante canto di sirena.
Dai un occhiata ai piedi delle pareti, là tra vento e rocce, noti un manipolo di camosci ed uno stambecco solitario che si gode la quiete alpina. Purtroppo là, ai piedi di quella montagna, non puoi certo arrivare e procedi la tua marcia sulle pelli degli sci.
Infine, dopo un paio d’ore, giungi al rifugio alpino e all’annessa malga, nel bianco quasi alienante dell’inverno ma ti senti parte del tutto come non mai.
E’ strano pensare che, pochi mesi prima, i pascoli della malga erano attornianti da pasciuti armenti di vacche, che allietavano la giornata con l’allegro suono dei loro campanacci ed ora sembra tutto avvolto da un religioso silenzio, cristallizzato nel gelo invernale di un’austera giornata di Gennaio.
Ti fermi a contemplare il mondo che ti circonda, neve, roccia che sale, vento, ricurvi larici; un mondo d’intrigante fascino.
Volgi lo sguardo sopra al rifugio, noti una combriccola di camosci alimentarsi della poca erba rinsecchita che la neve non ha ghermito e finalmente, poco più in basso, diversi esemplari di stambecco.
Sono un gruppetto di 4 maschi, il più vecchio di un età compresa tra i 7 e gli 8 anni.
Rincalzi con la marcia in salita per poterli raggiungere, ti senti goffo ed affaticato ma procedi ugualmente ansioso di poterti aggregare al gruppetto di stambecchi.
La neve è crostosa e non facilita certo la salita.
Il gruppo di camosci t’avvista e corre su intrepide rocce mettendosi al sicuro, alcuni s’attardano ad osservare il buffo omino e poi raggiungono, con pochi balzi il resto del branco.
I 4 stambecchi sono ancora dove li hai avvistati, t’hanno visto ma non sembra essere un problema.
Uno di loro emette un fischio innervosito o forse stupito dalla tua presenza ma se ne resta là, poco dopo si rimette a brucare.
Il maschio più vecchio si corica e con occhio sonnacchioso si gode la calma dei suoi monti.
Tutto tace solo il tuo lento procedere spezza il silenzio.
Arrivi al margine di un bosco, un bosco giovane, testimone del sempre maggiore abbandono dei pascoli alpini, causa di una società che sempre più spesso vive la montagna come un fugace passatempo consumistico e non come risorsa di vita e tradizioni.
Ti togli gli sci ed appoggio il pesante zaino sotto un abete rosso per assicurarti che non rotoli giù da un pendio.
Gli stambecchi sono un’po’ più sopra di te, è giunto il momento di estrarre la macchina fotografica e procedere a piedi.
Passo dopo passo t’avvicini sempre di più e cominci a scattare, la tua presenza pare non darli fastidio.
Sono animali che ti trasmettono un senso di pace, con i loro occhi sornioni e le calme movenze di chi ha tutta la giornata e nessuna fretta di fare qualsivoglia faccenda.
Ti piace restare lì e dimenticarti del tempo che spesso, erroneamente, appare tiranno e che invece, tra loro, scorre lento e pacifico, cambiando del tutto significato e ridimensionandosi.
Pensi che tutto ciò che abbiamo sempre voluto, qualsiasi cosa sia, forse è solo sciocchezza ed abbiamo già tutto di fronte a noi.
Non occorre affannarsi, tutto così semplice eppure ci sembra inafferrabile.
Osservi da dietro l’obbiettivo fotografico questi possenti maschi, due di loro vanno dietro ad un contorto larice dalla rugosa corteccia bruciata dal sole.
Ti hanno sempre affascinato i larici, in special modo quelli d’alta montagna, con le loro contorte sinuosità, modellati dal vento e da prepotenti slavine.
Con i loro licheni che penzolano dai rami, barbuti guru dei monti che in silenzio raccontano con il fragore di mille sagge parole.
Lo stambecco più vecchio continua a sonnecchiare.
Decidi d’avvicinarti ulteriormente, lui un’po’ infastidito, si alza ed inizia a brucare la stoppacciosa erba invernale, poco male! Adesso è girato nella tua direzione.
Fa alcuni passi verso di te, t’osserva serafico, infine si corica nuovamente essendosi accertato che sei innocuo.
Ti avvicini sfacciato, vuoi vedere i monti riflessi nei suoi occhi.
Questa volta ti lascia avvicinare a pochi metri, ne senti il respiro mentre rumina pacione nel debole sole che ora filtra dalle nubi.
Resti in calmo e quasi religioso silenzio, solo gli scatti della macchina fotografica e lo stambecco.
Passa il tempo, le nubi corrono in cielo ed i pensieri par scorrano leggeri tra di esse, sospinti dal vento di ricordi tra monti e tra stambecchi; custodi d’un mondo dimenticato, di genuina lentezza.
Saluti gli stambecchi, un ultimo sguardo all’immensità dei monti e torni da dove sei venuto.
Come le acque del torrente che rimbomba infondo alla valle e con negl’occhi il grato stupore di un bambino.