Forse il momento in cui si percepisce di più la forza di questa natura è la primavera. In essa si avverte palesemente la sua inesorabile ascesa.
In un paesaggio poco prima immerso in un incanto mortale di neve e gelo, pian piano nascono colori. Sono colori diversi da quelli che fin ora si erano visti; sono colori vivaci. Dapprima arrivano nel fondovalle ai piedi dei monti,
accompagnati da un continuo e sempre più impetuoso scorrere d’acqua.
Negli angoli nascosti di una radura boscosa ecco le primule con il loro giallo e qua e là il blu intenso delle genziane, genziane di koch, genziane primaticce, genziane di Clusio (ogni specie una sua particolarità). Nell’erba secca tra una macchia di neve ed una altra, pallido ricordo invernale, un tenue violetto della viola mammola. Nei prati su dolci pendii che attorniano i villaggi alpini, l’erba verdeggia ed i ciliegi selvatici fioriscono di bianco latte, assieme ai biancospini che contornano i piccoli appezzamenti di terreno formando siepi vive, per delimitare proprietà tanto care a noi uomini. Appena più su dove i prati ed i pascoli cedono il posto al bosco, le prime macchie di terreno sgombero da neve si intravedono nella luce che tenue, ma sempre più prepotentemente, irrompe tra le intricate fronde dei possenti alberi. Sono alti abeti rossi che immoti vegliano sulla valle. Solo il forte vento sembra scuoterne le fondamenta; un vento freddo e pungente che discende dai canaloni, lassù in alto sull’alpe. Lassù sull’alpe ancora vige la morsa di generale inverno, ma non ancora per molto. Man mano che il sole rinvigorisce i suoi raggi la neve cede il posto ai primi, timidi anemoni ed a un’esplosione di crochi. Il popolo dell’alpe lascia il caldo rifugio del bosco, attirato da questa rinvigorente esplosione. Sono i timidi caprioli, ancora grigi e con lo spesso mantello invernale. Piccoli branchi familiari, madri con prole ormai cresciuta e maschi che un po’ alla volta riformano il loro palco, che in inverno era caduto quasi obsoleto ed ormai logoro ed impregnato di resina. Avvolto in un morbido velluto, dal quale trae nutrimento, il loro palco ricrescerà ancor più vigoroso.
I caprioli sono meticolosi nella scelta dei loro alimenti, solo qualche germoglio ed i freschi crochi ricchi di vitamine; in un mondo così difficile è un lusso che si possono permettere solo per pochi mesi all’anno. Poco più in là fanno la loro apparizione branchi di cervi. Quasi consumati dalla lunga stagione invernale, fanno razzia nel pascolo alpino e, man mano che arriva la notte e la luna sale maestosa in cielo, discendono fino nei verdi prati della vallata sottostante. Un poco in disparte dai grandi branchi, i grandi maschi di cervo se ne stanno in gruppetti, come delle piccole combriccole di briganti in attesa di tempi di gloria. Loro, a differenza dei loro parenti caprioli, hanno ancora il palco ma presto lo perderanno per far spazio al nuovo che crescerà più vigoroso che mai.
Nell’aria si sente una continua sinfonia di suoni nuovi, che sembrano ogni giorno accrescersi in numero. Sono i merli, crepitii di pettirosso, stridulii canti del torcicollo, sinfonie di codirossi da poco tornati, chiacchiericcio di tordi, cesene, merli dal collare. Cantano alla primavera, alla rinascita lussuriosa della vita, alla sua bellezza soave!
Un canto tra tutti attira l’attenzione, è un canto ancestrale, quasi tribale, che proviene dagli anfratti della foresta più inesplorata. È un canto che pochi hanno la fortuna di udire, a pochi è concesso. Inizia come una piccola macchiolina bianca che par si muova sulle alte fronde di un vecchio larice. Man mano che ci si avvicina, s’avverte un leggero crepitio, come uno schiocco sottile di dita e poi … un fruscio. Pian piano una sagoma prende forma e appare chiaro un canto gutturale, primordiale. Il gallo cedrone canta senza sosta, coda aperta a ventaglio, collo teso, uno sbuffo nell’alba primaverile.
Tutt’a un tratto, con un fragoroso battito d’ali, scende al suolo e continua la sua sceneggiata. Cosa vorrà? Chi vorrà impressionare? S’ode un leggero chiocciare, un veloce fruscio d’ali ed appare una femmina con il suo magnifico manto fulvo. Ora sono chiare le intenzioni del grosso maschio! Si nota subito il palese dimorfismo sessuale del cedrone e si capisce che la natura ha donato ai maschi dei colori sgargianti ed una stazza superiore, proprio per mettere in atto questo ancestrale rito. Il maschio corteggia incessantemente la femmina, con il suo canto articolato, i suoi balzi ed i suoi colori vivaci. Nel suo piumaggio vi è il verde del pino cembro, il nero della notte più scura e, ad ornamento ai suoi occhi, il rosso della passione che brucia per la sua femmina. Non un rivale osi avvicinarsi o subito partiranno severe frustate d’ali e colpi prepotenti di becco e vinca il migliore! Quasi attonito, uno scoiattolo assiste alla vanitosa parata, mentre, invece, un picchio rosso maggiore tamburella incurante su di un vecchio ramo d’abete. Tutt’attorno è un chiassoso vociferare di cince di ogni specie, ma sovrano nel bosco echeggia il cantico d’amore del gallo cedrone, che finalmente raggiunge lo scopo. La sua amata femmina se ne va e lui torna in pianta per un ultimo assolo chiassoso.
Si stropiccia le piume, chiude la coda ed inizia a cibarsi di teneri virgulti di abete rosso, come premio rinvigorente per gli sforzi appena compiuti. Il gallo cedrone tuttavia non è l’unico indaffarato in preliminari amorosi. La primavera è tutto un cantico d’amore!
Discendono allegri i ruscelli scavando profonde vallate ed ospitando in essi frenetici merli acquaioli. Stanno sfidandosi a vicenda in esibizioni canore, anche se queste, a volte, non bastano e passano ai fatti. Sono in amore e nel loro mondo di argentee acque, si accoppiano e indaffarati preparano il nido. Si tuffano coraggiosamente in queste acque impetuose e fredde, in cerca di foglie, ramoscelli, alghe, ciò che il ruscello mette a disposizione per la costruzione del loro nido. Anche le ballerine, cantano alla primavera e per il loro amore. I picchi di ogni specie tamburellano frenetici, e la squillante risata del picchio verde echeggia ogni giorno . Ecco finalmente un suono familiare. Un canto che rassicura, quello del cuculo che ormai non si udiva da un anno.
Appena sotto alle alte vette la primavera si attarda un po’ ad arrivare, ma i primi ad annunciarla sono i galli forcelli. Quassù il freddo non se n’è ancora andato ed il terreno è ancora in buona parte innevato. Ma in una gelida notte qualcosa accade. Vi sono ancora le stelle in cielo e la luna continua la sua cavalcata. I contorni frastagliati di lontani monti si stagliano nella notte ed un maestoso silenzio troneggia . . . Ma ecco! Dapprima è un singolo soffio che proviene dai mughi al margine di una brughiera, poi i soffi si moltiplicano e un convulso rugolare ne segue. Le stelle si spengono come per far spazio ad uno spettacolo d’altrettanta bellezza. I maschi di gallo forcello si sfidano chiassosi nell’arena alpina, bramosi d’amore in attesa delle femmine. È un dipinto confuso di battiti d’ali, piume che si staccano e se ne vanno a spaglio nel vento dell’alba e soffi ruggenti quasi di pazzia. Arriva d’un tratto la femmina come a voler cambiare questo frenetico caos, ma aimè, ottenendo l’effetto contrario. I canti, le vicendevoli offese a suon si beccate si intensificano ma, finalmente, uno fra tutti ottiene le attenzioni tanto desiderate dalla femmina. Continua lo spettacolo e arriva anche il sole curioso, magari si domanda:” Ma cosa sta succedendo!” È un tripudio di colori, sfumature di verde e blu, un magnifico caleidoscopio si accende d’improvviso sui splendidi maschi di gallo forcello. Vanitosi si pavoneggiano, menestrelli della signora primavera. Facendo attenzione si può capire come i giovincelli se ne stiano un poco in disparte, sul margine dell’arena. Di tanto in tanto, tentano qualche timida incursione nel centro dell’arena, ma subito vengono messe le cose in chiaro dai vecchi galli gonfi d’orgoglio. Brevi battibecchi si intercalano a vere e proprie sfide a suon di balzi fulminei verso il rivale nel tentativo di beccarlo, spesso in mezzo agli occhi che, tutto sommato, sembra essere il centro di un bersaglio dato le loro caruncole rosso acceso. Forse stanchi, se ne vanno quasi all’unisono in un frullo veloce. Solo gli ultimi cantano all’orizzonte ed alcuni si soffermano sulle cime dei cirmoli e dei larici. La vita continua a stupire gli occhi del fortunato spettatore!
Tutto è scandito dall’inesorabile tempo ed ognuno ha il suo momento di gloria!
Ancora più in su, su intrepidi ghiaioni e piccoli scarni praticelli, s’ode uno strano crepitio. Strane presenze, quasi spettri, si muovono svolazzando qua e là, di roccia in roccia. Sono le pernici bianche nel loro momento! Sembra chiacchierino tra di loro i maschi, in tono di sfida, anche essi come tanti in questo periodo, bramosi d’amore. Sfoggiano il loro vestito migliore, candido con alcune macchie brune e delle timoniere nere che contornano la coda. Come tutti gli uccelli appartenenti alla famiglia dei tetraonidi anche le pernici bianche hanno delle splendide caruncole rosse che contornano gli occhi, ed i maschi le hanno particolarmente appariscenti in questo periodo. Danzano cantando e volando consapevoli della loro elegante bellezza. Aprono la coda a ventaglio in una parata amorosa appena scorgono una femmina nei paraggi. Passano sulle cenge alcuni camosci che gettano uno sguardo curioso verso la bizzarra parata delle pernici. Dei codirossi e alcuni culbianco cantano incuranti. Il sole spunta da dietro ad alcune insolenti nuvole e getta uno spiraglio di luce sulle pernici bianche indaffarate a farsi sentire e vedere dall’amata femmina, alla quale sembra non interessino tali avance. È un insolito spettacolo di candido fascino, assistere alle incessanti parate delle piccole pernici bianche. Sembra incredibile come queste piccole creature riescano a resistere in questo severo mondo alpino, eppure loro vivono qui tra il vento e le nebbie delle alte creste al confine con il cielo.
Nei canaloni ancor innevati, rombi di valanghe favoriti dalle temperature sempre più miti, scendono a capofitto sferzando, piegando, sradicando tutto ciò che incontrano. Solo pochi resistono al loro impeto; sono vecchi larici che con la loro forma contorta sfidano il tempo e sembra abbiano la meglio su di esso.
Da tempo immemore ogni anno, contro ogni previsione, rinascono e fioriscono. Piccole gemme colorate si impossessano di questi mitici matusalemme, ricoprendoli di colore. Fiori femminili di un rosa intenso, e fiori maschili polverosi e giallastri.
Nella vallata sottostante anche i noccioli sono in fiore ed a ogni sibilo d’aria espandono il loro polverulento polline. In un versante assolato della montagna, cresce un bosco di pino silvestre. Fulve cortecce screpolate dal sole brillano al mattino ed un magnifico tappeto d’eriche risplende roseo nel sottobosco della pineta. Indaffarati i bombi mietono il nettare in questa abbondanza d’eriche, con pazienza ammirevole svolazzano di fiore in fiore. È un continuo ronzio d’insetti che crea un sottofondo onnipresente nell’aria. Un leggero e soave battito d’ali si posa di fiore in fiore, un giallo acceso difficile da non notare. Sono le cedronelle, le prime farfalle a volare nella primavera.
Un tripudio di botton d’oro sboccia nei prati umidi, piccole parnassie fanno la loro comparsa in prossimità di un ruscelletto assieme a primule di varie specie. In una piccola porzione di bosco umido crescono dei strani fiorellini, Le pinguicole. Queste piante hanno sviluppato un particolare adattamento per ovviare alla scarsità di elementi nutritivi, in particolare di azoto, che vige nel loro umido habitat; sono piante insettivore. Le loro foglioline carnose secernono un liquido viscoso che attira gli insetti ma che, allo stesso tempo, li intrappola e poi ripiegandosi su se stesse li fagocitano. Solo dopo aver digerito i suoi succhi corporei, le esuvie del malcapitato verranno lasciate cadere. È una continua lotta per la sopravvivenza che si perpetua da tempo immemore, anche in luoghi dove tutto appare quieto, in realtà la sfida chiamata “sopravvivenza” continua inevitabile.
In questo mondo non è raro che generale inverno si affacci un’ultima volta, anche quando sembrava sconfitto dalla primavera. Basta un brivido di gelido vento, dei nuvoloni minacciosi spuntare irriverenti che subito è un’altra spolverata di neve. Dei caprioli vengono sorpresi da questa tardiva comparsa, ma non si stupiscono, sanno che è solo un effimera spolverata di neve, la primavera ormai è più forte! Il giorno seguente il sole riappare ed inevitabilmente scioglie l’ultima arroganza dell’inverno.
Un capriolo sfrega ripetutamente il palco su un piccolo abete , al quale probabilmente non fa piacere il trattamento,vuole a tutti i costi liberarsi del velluto sul suo palco, che ormai è ridotto, penzolante, a brandelli. Altri suoi simili hanno da tempo liberato il nuovo palco e pascolano poco più in là.
In alto nel cielo fa la sua apparsa un’aquila reale che intesse ampi cerchi nell’aria cristallina di primavera. Getta un meticoloso sguardo al di sotto di lei, in cerca di qualche lepre bianca o di qualche marmotta, o perché no’? , di qualche gallo forcello ancora intento nelle sue parate amorose. È ammirevole con quale disarmante facilità essa fendi l’aria, percorrendo in una manciata di minuti distanze quasi insormontabili anche solo con lo sguardo. Non sbatte mai le ali e par che legga le correnti d’aria sfruttandole a suo piacimento. Si innalza a spirale dove lo sguardo non più arriva e poi … giù a capofitto su un’alta cresta montuosa sparendo dietro a cenge irraggiungibili.
Per oggi la fortuna assiste una piccola colonia di marmotte da poco destate dal sonno invernale, l’aquila se ne è andata! Si riaffacciano dalle tane e dai nascondigli fra i sassi del ghiaione e ritornano alle loro faccende quotidiane. Sembrano quasi scheletriche, consumate dal letargo che ha bruciato tutti i grassi accumulati, alcune non ce l’hanno fatta e non si sono più risvegliate, fa parte del gioco! Un pispolone canta irriverente, alzandosi in cielo e gettandosi in picchiata sulle cime di qualche solitario abete.
Ogni giorno, man mano che avanza la primavera, è una nuova vita che si affaccia al mondo.
Le femmine di camoscio mostrano per la prima volta i loro piccoli e si riuniscono in branchi. I piccoli, nati da poche settimane, sono dei vivaci monelli che non stanno fermi un momento.
È una continua rincorsa con acrobatici salti; pochi possono vantare una palestra cosi maestosa come quella dei camosci. Si può notare come le femmine facciano a turno le vedette e tengano sotto continua supervisione i piccoli, la minaccia dell’aquila potrebbe arrivare in ogni momento.
Nascosto tra l’erba alta un piccolo capriolo se ne sta immobile, accovacciato su se stesso, ancora umido perché è nato da pochissimo, forse da qualche ora. Piccole macchioline bianche colorano il suo mantello e lo confondono alla vista dei predatori e l’immobilità ne amplifica il mimetismo. Solo un piccolo movimento delle narici, un respiro di vita. Nei suoi occhi si riflette il suo mondo fatto di alti abeti ed una promessa nasce nel suo animo, la promessa della vita! Su un grosso larice, proprio accanto al piccolo capriolo sta succedendo qualcosa. In un piccolo buco, scavato ad arte sul suo tronco, proviene un continuo, quasi fastidioso, pigolio. Una coppia di picchi rossi maggiori instancabilmente portano cibo alla loro impaziente prole stipata in questo piccolo buco. Anche una coppia di picchi verdi è intenta a nutrire la loro nidiata, che però è ormai prossima all’involo; ed infatti uno dopo l’altro i piccoli escono dal nido costruito nel vecchio pioppo tremulo. Un altro pigolio proviene da enormi abeti rossi. Là nel vecchio bosco ombroso, dei picchi neri portano avanti la loro nidiata. Protetta nell’intrigo di biancospini, la tana di una volpe rinasce a nuova vita. Tre volpacchiotti si affacciano curiosi al nuovo mondo che ancora non conoscono. Ancora impacciati muovono i primi passi fuori dalla tana. Ognuno dei tre ha il proprio carattere; c’è l’avventuroso, intento ad infastidire una malcapitata gazza; c’è il dispettoso, che continua a far goffi agguati al fratellino e c’è il fifone, che ad ogni rumore sospetto se la fila nella tana. La madre è nei paraggi a caccia di arvicole e quant’altro, con un occhio sempre attento in direzione dei tre furfantelli.
Ai giorni di sole seguono altrettante notti vigili per il popolo della notte. La civetta capogrosso, con il suo ovattato volo passa nel buio, anche l’assiolo inizia la sua attività e la sua voce echeggia nel folto del bosco. Una miriade di stelle con la loro fioca luce illuminano il cielo ed un fino spicchio lunare solca lentamente questa immensa volta stellata. Straziante giunge il verso dell’allocco, mentre tutto attorno il mondo sembra assopito. Pian piano si risveglia un nuovo giorno ed è il pettirosso uno dei primi a farsi sentire. Quasi impaziente si sgola nelle luci dell’aurora che contorna i monti, mentre con audace frenesia, un rampichino alpestre si arrampica sulla rugosa corteccia di un abete bianco in cerca di insetti. La foresta si stiracchia all’alba, appena risvegliata dal sonno notturno. Non c’è tempo da perdere tutti si attivano frenetici. Un merlo acquaiolo si tuffa nelle fredde acque di un torrente impetuoso, per poi riapparire in superficie, con un lauto bottino di larve. Dove andrà con questo bottino? Il merlo vola via, seguendo il torrente e sparisce dietro una cascatella, è li che i suoi piccoli attendono. Con formidabile costanza, una coppia di merli acquaioli sfidando l’intrepida forza della corrente continuando nel loro via vai. In piccoli uccelli come questi è quasi impensabile questa forza d’animo, eppure continuano, tuffo dopo tuffo! Ogni anno scelgono la stessa cascatella per costruire il loro nido; ed anno dopo anno portano a termine il loro intento di genitori. Ad un tratto uno sparviere piomba, come materializzandosi dal nulla, ad un soffio da uno dei due indaffarati merli, che con un fulmineo scatto scampa per un pelo all’agguato del rapace. Torna la calma e la giornata continua, l’acqua scorre e le nuvole passano alte nel cielo.
Il sole si attarda sempre più, quasi non volesse andar via per più non godere della vista di tanta opulenza di vita.
Si sente aria d’estate!