Almeno una volta nella sua vita, chi non ha mai sognato di volare? Sin dall’antichità questo desiderio è insito nell’uomo, forse perché l’ambizione ci porta sempre ad oltrepassare i nostri limiti.
Pensiamo agli angeli da sempre rappresentati come esseri alati; pensiamo alla mitologia greca con Icaro, fuggito dal palazzo di Cnosso volando con delle ali costruite di piume e cera; pensiamo alle macchine volanti progettate da Leonardo da Vinci, ai tentativi di volare dei fratelli Wright .
Tanti sognatori, poeti e cantanti inneggiano al volo, perché esso in fin dei conti è libertà, speranza di raggiungere nuovi confini, è guardare il mondo da un altro punto di vista mai sperimentato prima!
Sono gli uccelli i padroni indiscussi del volo e fra tutti, i rapaci rappresentano il più bel e maestoso esempio di volatili.
Non si può non pensare ad un rapace, ad esempio l’aquila reale, che vola nel cielo azzurro, senza fantasticare di essere con lei, volando libero sulle vette, scrutando dall’alto le valli ed i suoi abitanti … piccoli puntini sotto di te!
Io spesso fantastico, quando mi trovo lontano da casa stanco e c’è ancora tanta strada da fare, a quanto sarebbe bello essere un aquila e spiccare il volo, librandosi leggiadra tra la brezza del mattino.
I rapaci hanno sempre attratto l’uomo. Forse è quel loro carisma quasi ipnotico, la loro regale forza a renderli, fra tutti i volatili i più desiderati. Così desiderati che vi e’ un intera pratica, un tempo riservata alla nobiltà, ma ai giorni nostri accessibile a chiunque la voglia praticare: la falconeria.
Innumerevoli casate portano come fregio un rapace. Il rapace è l’incarnazione della regale forza!
Anche per un fotografo naturalista è un alta ambizione riuscire a fotografare questi volatili e spesso, tale ambizione, lo porta a numerose delusioni e vane attese.
Ma ci sono delle volte in cui la caparbietà e, perché no?! La testardaggine, portano al risultato sperato e magari anche a quello inatteso.
E’ il caso capitato a me nell’inverno 2014 /2015.
Erano anni che dedicavo gli inverni a cercare di fotografare la poiana, ma tutti gli anni, vuoi per sfortuna, vuoi per mie scelte sbagliate non ne cavavo mai un ragno dal buco, ma non demordevo!
Nel novembre 2014 alimentato, come tutti gli anni, dalla speranza di riuscire finalmente nell’intento, decisi di costruire l’ennesimo capanno dedicato alla poiana in un posto che poteva essere buono, sperando mi portasse risultati migliori degli anni precedenti.
Più del 50% della riuscita nell’impresa di immortalare un rapace è spesso decretata dalla scelta del luogo nel quale costruire il capanno.
Oggi sono conscio che l’errore che non mi permise, gli anni precedenti, di
immortalare la poiana, fu proprio l’errata ubicazione. Sceglievo sempre posti troppo disturbati da attività umane e in luoghi aperti dove, probabilmente, i rapaci non si sentivano sicuri.
Nella costruzione di quest’ultimo capanno, mi feci aiutare dal mio amico Giovanni, anche lui appassionato fotografo. Lo costruimmo abbastanza spazioso da poterci stare in due.
Posizionammo il carniere* ed un posatoio a pochi metri dal capanno ed ogni due tre giorni provvedevo personalmente a portare nuova carne.
Da quando iniziai a riempire il carniere saranno passate tre settimane, e subito notai diverse poiane che si aggiravano nei paraggi. A conferma di ciò, capitò che un pomeriggio mi recai, come al solito, a rifornire il carniere e vidi una poiana intenta a mangiare la mia offerta.
Mi si illuminarono gli occhi e pensai fra me: “Quest’anno è la volta buona!”
Animato da tale speranza, la mattina seguente mi recai nel capanno, armato di macchina fotografica ed obbiettivo. Arrivai lì quando era ancora scuro, spinto dall’impazienza che la notte non mi fece dormire, c’erano rapaci nei miei pensieri!
Ero ancora infreddolito, solo il pensiero della poiana che appare sul posatoio mi teneva caldo.
Al di fuori del capanno il bosco si stava lentamente svegliando. Cince di ogni specie vociferavano gioiose, il pettirosso salutava il nuovo giorno, ma solo il via vai di ghiandaie di tanto in tanto usufruiva del carniere.
Ore di attesa, che mi resero frustrato e, come se non bastasse, a mettere alla prova la mia pazienza udivo dei continui fischi proprio di lei, la poiana.
Niente quella mattina, tornai nel pomeriggio, ma il risultato non cambiò.
“E’ solo la prima giornata” pensai, e tornai il giorno successivo e così per un quasi un mese senza alcun rapace.
Dentro di me ero sicuro che, prima o poi, la mia caparbietà verrà premiata.
Infondo la neve si faceva desiderare, a parte qualche blanda nevicata, ed il carniere perciò non veniva frequentato assiduamente; ma ero sicuro che ogni tanto passava questa “benedetta poiana!”
Stava diventando la mia bestia nera, la mia pietra filosofale! irraggiungibile!
Ormai era la vigilia di Natale e ancora niente neve, ma continuavo, comunque, a perseverare nel mio scopo.
Era una mattinata calma e, come sempre, diverse poiane giravano nei paraggi e si facevano sentire, sembrava quasi che si prendessero gioco di me.
Passavano le ore di calma piatta e solo il cincischiare di cince e le stridenti voci delle ghiandaie mi tenevano compagnia.
Ormai erano quasi le 11 e pian piano, anche quella mattina, la speranza dell’arrivo della poiana svaniva.
Mi stavo quasi preparando ad uscire dal capanno quando avvertì un quasi impercettibile fruscio, quasi un fantasma! Guardai dalla feritoia del capanno e vidi che c’era lei: la poiana! O almeno così mi sembrava, guardai attraverso la macchina fotografica e? Non può essere!!! Un astore!!!
Scrutava attorno a lui appollaiato al posatoio, magnifico! Mi batteva forte il cuore dall’emozione.
Scattai in modalità silenziosa per non spaventare il selvatico e, a parte questo piccolo accorgimento, quasi non badai alle impostazioni della fotocamera.
Era lì, a pochi metri dal mio capanno, fiero rapace!
Il più bel regalo di Natale che avessi mai ricevuto! L’astore, che con il suo sguardo ipnotico, mi faceva sussultare il cuore.
Non è facile spiegare come questo rapace, visto dal vivo, susciti subito un profondo rispetto e anche una sorta di sottomissione che mette le cose al suo posto. E’ come se guardi il mondo che lo circonda, consapevole di essere uno dei più bei e forti rapaci esistenti. Ti fa’ sentire piccolo, non per niente viene detto il falco del Re!
Restò un po’ sul posatoio, titubante, poi si decise e approfittò del carniere.
Mi fece compagnia per una mezz’oretta, e non potevo essere più felice di così!
Dopodiché se ne andò con uno scatto fulmineo, scomparendo nel bosco, senza quasi emettere un rumore, un fantasma!
Tornai a casa con un enorme sorriso e non dimenticherò mai quei momenti. Avevo quasi scordato la poiana, almeno per quel giorno.
Le giornate seguenti tornai al capanno, il pensiero della poiana era riapparso. Aspettai, mattina dopo mattina, pomeriggio dopo pomeriggio ma di lei niente!
Ero felice ugualmente, perché, quasi ogni mattina, l’astore tornava e si metteva in posa per i mie scatti. Era una femmina adulta, ed ormai aveva acquisito una certa confidenza con il carniere. Lei arrivava sempre prima sul posatoio, restava là un minutino e poi si gettava sul carniere. Saziata ritornava sul posatoio ed iniziava a pulirsi il becco strofinandolo sul legno.
Era quello il mio momento preferito!
Poi se ne andava veloce come un fulmine, silenziosa come uno spettro.
Si sentiva ogni giorno la poiana volare nelle vicinanze e talvolta si posava sui pini silvestri sopra il capanno.
Erano quei momenti che mi emozionavano e nei quali continuavo a pensare: “eccola, adesso arriva!” ed invece non arrivava mai! Sembrava beffarsi di me.
Non mi importava, quasi ogni giorno ritornavo e anche se non si presentava l’agognata poiana, a tenermi compagnia c’era sempre l’astore ed il pacato respiro del bosco. Respiro fatto dal chiacchericcio delle cince, dal volubile soffio del vento tra le fronde dei pini e dai raggi del timido sole invernale che mi cullava nelle ore di attesa ed era già il mio paradiso!
Finché, una sera, arrivò quella che sembrava la solita beffa di ogni giorno della poiana. Fischiava sopra al capanno, non ci feci quasi caso talmente ero abituato a sentirla tutti i giorni ed invece eccola! Si avvicina a terra davanti al capanno a piccoli passi. Era buffo vederla zampettare a terra, la sua fierezza si trasformava in simpatica goffaggine.
Titubante e circospetta, continua ad avvicinarsi, aspettai che si mettesse sul posatoio.
Con uno balzo volò via, delusione!!
Con mia sorpresa, dopo neanche un quarto d’ora, riapparve a terra con la stessa aria circospetta guardando il carniere. Un altro balzo e vola via, vuole proprio prendermi in giro! Invece eccola che appare, quasi dal nulla in cima al posatoio, quasi non ci credo.
Inizio a scattare, 1 – 2 – 3 – 4 – 5 foto… Continuo a scattare, non si curava affatto dello scatto della fotocamera.
Continuava a guardare la carne ma non voleva saperne, per adesso, di approfittarne, ma ecco che si decise e ne approfittò.
Momenti magici che mi resteranno impressi nella mente per tutta la vita. Dopo tanto lavoro e pazienza finalmente è lei, la poiana, e a premiarmi ancora di più l’inattesa sorpresa che quel capanno mi donò…astore!
Continuai a tornare quasi tutti i giorni ed ormai avevano iniziato a frequentare il carniere assiduamente, la mattina l’astore e il pomeriggio la poiana.
Alcuni giorni nevicò e non mi feci sfuggire l’occasione di catturare alcune immagini dell’ astore con la neve.
O sotto una copiosa nevicata.
Uno spettacolo dopo l’altro, e con la neve, all’aria fiera dell’astore si aggiungeva un atmosfera fiabesca.
Quando nevicava nel bosco tutto taceva, quasi inghiottito dalla neve che scendeva e ricopriva a poco a poco ogni stelo d’erba, ogni fronda ed ogni mio pensiero taceva per un poco nella mia mente.
Ma fugace appariva lo stesso il mio astore, con quegli occhi di fuoco, a voler sfidar il tempo avverso e a tenermi compagnia nella quasi inquietante calma della foresta.
Appariva sempre dal nulla ed ogni volta mi sobbalzava il cuore!
La poiana arrivava sempre nel pomeriggio e le temperature di quell’inverno strano,
non facevano resistere la neve e non ho mai potuto catturane un immagine nel paesaggio innevato, ma mi accontentai.
Era bello passare la giornata insieme a questi rapaci, addirittura, alle volte, di poiane ne passarono più d’una ma, purtroppo, una alla volta e mai si facevano vedere l’una vicino all’altra.
Spesso quando erano sul posatoio guardavano sopra di loro con atteggiamento minaccioso, appena passava un’altra poiana.
La poiana che con più frequenza si prestava alla mia fotocamera era splendida.
Un esemplare probabilmente femmina, visto la stazza (In tutti i rapaci sono le femmine di taglia maggiore).
Aveva una livrea molto particolare, con il petto quasi completamente bianco.
Era la mia Bianca!
Era bello vedere che, dopo tanto, era come se sapesse che ero nel capanno. Guardava in mia direzione senza essere spaventata, ma con curiosità.
Spesso facevano strane pose ed espressioni buffe, ma che denotavano tutta la loro intelligenza, facendomi riflettere su quanto dobbiamo imparare.
Spesso quando osservo un animale, mi domando come ci vede noi esseri umani e penso che probabilmente ci vede come degli esseri disadattati e stupidi.
Bianca con quelle sue pose ed espressioni me lo diceva chiaramente, ma a differenza di quanto, spesso, noi uomini facciamo lei mi tollerava e mi regalava ogni giorno un emozione stupenda!
Le sorprese di quel capanno non erano ancora finite.
Una mattina apparve un nuovo esemplare di astore, un individuo giovane.
Si materializzò sul posatoio, quasi non me ne accorsi ed in principio no capì di che rapace si trattasse, ma poi mi resi conto di ciò che avevo davanti, lo sguardo fiero e quasi minaccioso non poteva mentire..era lui, l’astore!
Aveva la classica livrea da immaturo, tendente al nocciola chiaro sul petto e gli occhi giallo acceso invece che arancioni come negli adulti, ma lo sguardo era una certezza!
Mi fece compagnia quella mattina, e pensai che, alle volte, la migliore compagnia che potessi desiderare è proprio quella di un animale selvatico e quell’astore, con quegli occhi intensi era una cosa fantastica!
Ho sempre pensato che ci sono più risposte nello sguardo di una animale muto, che in mille parole vane ed effimere dette da quello che noi arrogantemente reputiamo il più evoluto e padrone del mondo: Uomo.
In quei sguardi capisci che noi uomini, a differenza loro, siamo persi in mille incertezze, e mille bisogni che spesso risultano essere inutili e quasi sempre effimeri. Mentre loro sanno cosa vogliono e non si perdono in frivolezze da poco e godono con quel poco che hanno, perchè spesso la felicità e nelle piccole cose.
Capisci allora che dobbiamo riscoprire l’umiltà del vivere felici delle piccole cose e mettere da parte il nostro stupido orgoglio di esseri evoluti, perché alle volte è più produttivo un umile passo indietro che un passo azzardato in avanti!
Quell’inverno scoprì di non essere l’unico fortunato fotografo, anche un mio amico aveva avuto in quel periodo fortuna. Anche lui l’astore e la poiana!
Una mattina, dopo aver contraccambiato e averlo fatto venire nel mio capanno, mi recai nel suo ed ebbi la fortuna di fotografare l’astore.
L’ambientazione era stupenda e ne risultarono delle bellissime foto, diverse da quelle che potevo fare dal mio capanno.
Anche quell’astore era una femmina, e, come sempre, mi rapì con quel sguardo carismatico di chi non può essere che forte, per poter vivere nella foresta libero per
davvero.
Quell’inverno fu speciale, mi sentì parte di qualcosa di più grande, qualcosa che si nasconde nel bosco e lontano nel cielo, un mondo silenzioso che tanto mi ha regalato.
Il mondo dei rapaci, con quei sguardi ipnotici, con le loro elusive movenze e con la loro elegante forza!
E chissà?! Quest’anno forse mi aspetta l’aquila reale … Un nuovo obbiettivo da
raggiungere!
In fondo la fotografia naturalistica ti insegna proprio questo: raggiungere un obbiettivo dopo l’altro, con la coscienza che gli obbiettivi da raggiungere sono innumerevoli e l’umiltà nel capire che non riusciremo mai a raggiungerli tutti. Bisogna gioire ogni qualvolta che ne raggiungiamo anche solo uno piccolo! Così e’ anche la vita e per adesso ringrazio l’astore e la poiana che, mi piace pensare, se vedessero queste immagini sarebbero fieri della loro bellezza.
Spero che le immagini da me catturate ne rendano giustizia, ma sono anche sicuro che, chi avrà la fortuna di vederli dal vivo, se ne innamorerà come ho fatto io.
Alla prossima, perché sono certo che anche l’inverno che verrà li incontrerò e sarà sempre come la prima volta, con il cuore a mille ed un sorriso grandissimo di gioia!
Apro una piccola parentesi per spezzare una lancia in favore della pratica per attirare gli animali selvatici con del cibo, affinché si avvicinino a distanza utile di foto.
Questa pratica spesso è vista di mal’occhio dai naturalisti più accaniti, ma, a mio avviso, se si vuole fare fotografie a certi soggetti come, in questo caso i rapaci, è una pratica necessaria.
Altrimenti, e lo dico per esperienza, le foto così come le potete vedere in questo piccolo racconto, sarebbero state impossibili da eseguire.
Logico è che tale pratica va fatta nel rispetto del selvatico e mai e poi mai sovrabbondando con l’offerta di cibo! Si tratta pur sempre di animali selvatici, ed il bosco non è un allevamento e quindi il fotografo non è un allevatore!!!
prova1
prova2